Chi non crede è un borghese
- Marco D'Avenia
- 15 giu 2023
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 13 nov 2023

Jean de Saint-Cheron è un giovane intellettuale francese, formatosi a Parigi alla prestigiosa SciencePo e alla Sorbona, apprezzato editorialista,lavora attualmente presso Institut Catholique de Paris. Il suo volumetto, Les bons chretiens, appena tradotto in italiano col titolo Chi crede non è un borghese, è un’acuta riflessione che delinea la categoria antropologica del 'borghese' appunto, cioè colui che vive la sua vita prescindendo da Dio per 'sistemarsi' comodamente nel mondo. Il borghese è vecchio come il mondo, è parte di ogni uomo, nasce proprio alle origini, dal peccato dei progenitori. È il tarlo nascosto di ogni vita e di ogni comunità. Il borghese è stato sempre presente anche nella Chiesa, ma è diventato una presenza culturalmente e sociologicamente determinante a partire dal tardo medioevo. Il borghese ha modificato dall’interno la Chiesa a proprio uso e consumo, plasmandola silenziosamente a sua misura, liberandosi dall’'ostacolo Dio', di tanto in tanto rimettendolo in campo come garante di un ordine per doveva assicurare la sua vita di borghese. A questo cristianesimo borghese si oppone in maniera decisiva Nietzsche, denunciandone le contraddizioni e le più o meno nascoste dinamiche di esercizio del potere. Saint-Cheron ritiene (ma non solo lui, basti pensare ad Alasdair MacIntyre e a tanti altri autorevoli pensatori) che con la sua critica Nietszche abbia dato un contributo decisivo alla purificazione del cristianesimo proprio da ciò che di borghese vi si era avvinghiato. Di fronte a questa lenta e costante rivoluzione sommersa (rivoluzione nel senso originario di volgersi verso un nuovo centro, vedi “rivoluzione copernicana”), al cristiano è continuamente richiesto di mantenere uno sguardo ampio: la sua vita e la sua esperienza non è quella del “buon cristiano”, del “cristiano tranquillo”, ma quella il cui termine identificativo non può essere pronunciato alla leggera. È la vita della comunità dei santi (e ad un tempo inevitabilmente peccatori, ma mai ipocriti), che ha sulle cose, sulle attività, sulle relazioni, uno sguardo di eternità aperto al mondo e oltre, verso il mistero che lo avvolge; il cristiano non pensa solo alla gestione di un "tranquillo e comodo" (ma sempre fragile, come ogni cosa umana, radicalmente insufficiente in se stessa) "bilocale in zona residenziale" da mantenere in ordine con tutti i suoi comfort. L'esperienza del cattolico non borghese è sempre di libera apertura all'infinito (oggi non ci sono costrizioni sociali che lo obbligano a credere a DIo, forse l'opposto), apertura che si dischiude sempre e solo nei segni tangibili della materia e della carne. È un'esperienza appassionata del “sapore di Dio” ("sapida scientia", nell’espressione di Agostino) che il borghese non riesce proprio a capire. Il cristianesimo, lungi dall’abolire il desiderio, dialoga continuamente con esso, tenendo sempre in tensione ciò che ognuno è e ciò che ultimamente può compierlo. Il borghese invece il desiderio lo banalizza, riducendolo al soddisfacimento seriale e ipoteticamente infinito dei consumi (basti pensare all’atteggiamento costante di 'ordinare cose' su Amazon, della rincorsa a ogni tipo di soddisfazione possibile, come il Don Giovanni di Kierkegaard, desiderante seriale frustrato che rinuncia alla propria identità). Il cristiano incontra il mistero nel mondo reale, nelle sue attività quotidiane, nella bellezza che tutti riconoscono. In questo mondo, egli ha realizzato (pur peccatore) opere di grande respiro esistenziale e spirituale nell’arte e nella letteratura, che parlano a tutti (mentre oggi lo scrittore cattolico spesso si autoesilia in una triste e sterile sottocultura artistica o editoriale - leggere le pagine stupende sul tema -, dove si propongono in modo autoreferenziale a un cerchio ristrettissimo di persone che vivono “fuori dal mondo”, "cose di chiesa” (spesso) “buone” (a volte strambe a dire il vero) in modo “brutto”, con un'estetica agio-oleografica, piena di sentimentalismo e non di amore.

La diagnosi di Saint-Cheron è penetrante, come da tradizione francese e per certi versi destabilizzante, discerne con chiarezza ciò che non è compatibile con la santità. La santità per forza di cose è esigente, come deve essere per una realtà che propone l'eterno e la pienezza a un essere pieno di limiti e di desideri confusi. Eppure mai giudica, perché sa dal di dentro chi è l’uomo, qual è il suo desiderio profondo; non fustiga con acredine, reattività, spirito vendicativo o 'punitivo' chi vive in modo borghese o chi si rinchiude in comunità tristi e depotenziate (è tentazione propria dell’uomo crearsi un capro espiatorio, ma non dovrebbe esserlo del cristiano, perché, come dice René Girard, è Cristo che si fa capro espiatorio per l’umanità, rendendo capaci i cristiani di misericordia e perdono). Con questa libertà interiore, Saint-Cheron attraversa con speranza i dolorosi temi delle chiese che si svuotano, della carenza di vocazioni, dei conflitti tra cattolici, delle accuse di ipocrisia rivolte a chi va a Messa e poi vive, appunto, "da borghese” (ma non sono tutti così, dice Saint-Cheron: si è insieme sempre santi e peccatori, ma le due cose insieme non implicano necessariamente ipocrisia se si è consapevoli, si chiede scusa, si combatte ogni giorno per essere buoni. È una prospettiva feconda di comprensione, che non fa sconti e che vive allo stesso tempo, nelle pieghe dell’umano.
In un percorso che compie assieme ad Agostino, Pascal, Flannery O’Connor, Dostoevskij; Bernanos, Peguy e Bloy; Rousseau e soprattutto Nietzsche, Saint-Cheron, argomenta con semplicità, fine umorismo e competenza, con qualche eccesso o semplificazione qua e la, probabilmente in parte legato alla giovane età.
Il titolo italiano, "chi non crede è un borghese" (bello ed efficace), forse sarebbe stato più corretto se fosse stato (il decisamente più brutto) "chi è borghese, non crede". Perché il punto di forza del libro è proprio identificare il modus vivendi del borghese per poterlo facilmente riconoscere nella vita personale e relazionale (e questo è il guadagno notevole della trattazione). Da lì poi Saint-Cheron definisce, 'per contrappposizione', il cristiano come colui che borghese non è e non può essere. Di conseguenza, si trattano con pertinenza le caratteristiche che deve avere l'esperienza cristiana per non essere borghese, non si nascondono o attenuano esigenze e scomodità. Poco si dice però del 'contenuto' dell'incontro reale con Cristo, del perché alcuni hanno un amore così viscerale e appassionato per lui, di che cosa vuol dire essere santi, e quindi del perché voler essere santi (perché non tutti quelli che non vogliono essere borghesi vogliono essere santi). Che cosa incontra il cristiano nella narrazione che gli viene trasmessa da una famiglia, da un amico, e gli fa scoprire la sua vocazione? Che cos’è questo dono che riceve e a cui corrisponde in modo molto impegnativo? Qual è il ruolo della Chiesa, comunità di santi e perciò famiglia dei cattolici, rete di relazioni? Un accenno almeno sarebbe stato utile. Per il cattolico, per il non cattolico e per il non credente. Ma questo è un libro (breve) sostanzialmente di antropologia della cultura. Tracciando il perimetro dell'esperienza del borghese e del credente, già assolve bene al suo scopo, lascia al lettore cristiano e non cristiano lo spazio alla riflessione personale e al cristiano la scoperta del volto di Cristo incontrato nella Chiesa. Una lettura raccomandabile.
Il libro è scritto per un pubblico ampio, per tutti, cattolici e non cattolici, con una formazione da scuola superiore in su.
Jean de Saint-Cheron, Chi crede non è un borghese, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2023, pp. 198, 16 €
Ha appena pubblicato Éloge de une guerrière: Thérése de Lisieux, presso la prestigiosa Grasset & Fasquelle, Parigi 2023.
Jean de Saint-Cheron ha presentato recentemente il suo libro in quest'intervista con Monica Mondo, nel programma Soul di Tv2000.
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